ποιέω. fare

In greco antico il verbo “ποιέω. fare” corrispondeva al nostro “costruire, fabbricare”. Si diceva dell’artigiano, del fornaio, del falegname, del muratore, dell’ebanista e del poeta.

Fare le poesie, riconoscendo alla poesia un valore economico e sociale e, non solo come diletto dell’anima. Questo per l’antico greco popolo era poesia.

La capacità del poeta di “maneggiare il metro” era maestria.

Oggi che ha la musa Calliope ha smesso di cantare dall’Elicona monte, a mala pena riconosciamo il valore di un verso.

Scontata è la maestria regalata da un ottativo che nasconde il desiderio tra l’essere, il fare e il desiderare.

Rifletti, perché poeta fai poesia? Corro dietro a un verso che catturi il filo di fumo lasciato da un sogno.

2 pensieri su “ποιέω. fare


  1. L’arte del poeta

    M’inedia il tempo sospeso
    che pongo come rimedio
    , senz’esito alcuno,
    al progresso ritroso della mia stanchezza

    C’aggiungo i versi

    placebo che incarna l’arte del poeta
    che trae incanti
    dal discernere
    crisalidi da farfalle
    fischi per fiaschi
    grida dai silenti.

    Sormonta gli anni
    raggrumati a volte
    in un solo emo-pensiero

    che speme l’eterno
    e fallisce talvolta incompiuto

    come adesso
    che smemoro già la prima strofa

    agognando però
    l’immemore dell’ultima:

    saper sapere
    è l’ignoranza a cui nessuno in fondo
    sa porre rimedio.

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